27 Gen Il volo di Sara
In occasione del Giorno della Memoria gli alunni della classe 4° scuola L. Manfredi vogliono condividere, con i lettori di Miniscoop, la lettura di questo splendido libro per riflettere e non dimenticare mai.
Era un tardo pomeriggio di novembre. Me ne stavo appollaiato su di un ramo spoglio. Mi guardai attorno: c’erano solo baracche grigie recintate da reticolati di filo spinato.
Uomini scheletrici vagavano in mezzo al fango e al sudiciume. Nell’aria c’era un odore acre e nauseabondo che neppure il vento riusciva a dissolvere. Dall’alto di una torretta dei soldati con il fucile spianato stavano di guardia, minacciosi. Ad un tratto, in lontananza, sentii il fischio di un treno. Appena lo avvistai, notai che assomigliava ad un carro bestiame con tanti vagoni,chiusi all’esterno con spranghe di ferro. Il convoglio, rombando sulle rotaie, finì la sua corsa proprio dentro il campo.
I soldati correvano da un vagone all’altro, urlando a squarciagola i loro ordini, con i cani al guinzaglio che latravano come fossero impazziti. Le porte furono spalancate con grande frastuono Dai vagoni scesero donne, bambini e anziani che furono raggruppati in file. Lessi il terrore nei loro volti. Fu allora che la scorsi.
Mi colpirono gli occhi grandi nel volto minuto, i capelli scuri raccolti con un nastro azzurro. Lo stesso colore del vestitino di lana che le spuntava dall’orlo del cappotto grigio. Avrà avuto forse sei o sette anni, mi sembrava più piccola della sua età.
Si stringeva forte a sua madre. Ad un tratto la bambina sollevò lo sguardo e mi vide. –Mamma, guarda, un pettirosso -mormorò, sorridendo appena. La madre non ebbe neppure il tempo di risponderle, perché lo strattone violento di un soldato la separò dalla bambina. – Sara! Sara! – tentò di gridare la donna tendendo le braccia in avanti per trattenerla. – Mamma! Mamma! – tentò di gridare la bambina, ma dalla bocca non le uscì alcun suono, come se fosse paralizzata. Fu allora che decisi che non l’avrei mai lasciata sola. Sarei stato io a farle da madre e da padre, sarei stato io la sua voce.
I soldati rinchiusero Sara dentro una baracca di legno, le fecero togliere il vestito azzurro che la mamma le aveva fatto con le sue mani. La costrinsero ad indossare una casacca a righe, molto più grande della sua taglia, con una stella gialla cucita sul petto. Poi le tagliarono i bei capelli scuri, che scivolarono come piume sul pavimento insieme al nastro azzurro che li tratteneva.
La fecero coricare in una cuccetta, ammassata insieme ad altri bambini infreddoliti e impauriti come lei. La notte scese buia. M’infilai di nascosto nella baracca attraverso il vetro rotto di una finestra. Mi avvicinai a lei che se ne stava immobile, con gli occhi sbarrati per cercare una luce in quel posto sconosciuto e orribile. Con le piume delle mie ali le feci una lieve carezza sulla guancia. Avvertii che il suo viso era gelido. Appena mi sentì Sara si sollevò leggermente e, nell’oscurità rischiarata a tratti dai fasci di luce che provenivano dai fari della torretta di guardia, scorsi le sue mani ondeggiare lentamente come ali. Era il suo modo silenzioso per dirmi che voleva volare via, lontano, lontano. Di notte le tenevo compagnia e le cinguettavo sottovoce vicino all’orecchio le storie che avevo udito dai miei amici uccellini. Lei ascoltava in silenzio, incantata, finché il sonno non la prendeva per mano.
Di giorno raccoglievo per lei tutto quello che riuscivo a racimolare nel campo per placare un po’ la sua fame: briciole di pane, bucce di patate, legumi secchi, qualche foglia di cavolo o di rapa. Ma Sara diventava sempre più magra e sempre più pallida. Sembrava un uccellino spaurito.
Una mattina non la trovai più nella baracca. Mi misi disperatamente alla sua ricerca sorvolando tutto il campo. Del fumo usciva lento da un alto camino. Infine la vidi in fila con altri bambini. Sara appena udito il mio cinguettio, si girò di scatto, sorridendomi debolmente. Poi ondeggiò con estrema lentezza le braccia esili come se stesse per spiccare il volo. Mi avvicinai a lei incurante del ringhiare dei cani.
Fu in quell’istante che decisi di prestarle le mie ali, perché fuggisse via al più presto da quel luogo. La vidi librarsi nel cielo non più grigio, ma azzurro come il vestito che ora indossava, come il nastro che ora le cingeva i capelli. Dalle cime degli alberi, uccelli, venuti da ogni parte, si alzarono in volo. Passeri, pettirossi, merli prestarono le loro ali ad altri bambini che, come Sara, volevano volare via lontano. Sara precedeva il grande stormo, la più veloce di tutti. Poi sparì tra le nuvole mentre tutt’intorno si levava un coro di cinguettii, di trilli e di gorgheggi.
(Lorenza Farina, Il volo di Sara, Fatatrac)
Illustrato dagli alunni della classe 4°, scuola primaria L. Manfredi
Erika Parodi
Posted at 13:53h, 28 Gennaiocomplimenti ai bambini e alla loro maestra. E’ davvero un lavoro bellissimo!
Anna Dentoni
Posted at 12:29h, 29 GennaioBravissimi!
Alice
Posted at 20:38h, 29 FebbraioMi è venuto da piangere leggendo questo articolo,è davvero commovente!
Alice B.