01 Apr La canzone di Federico e Bianchina
Il progetto di quest’anno del nostro Istituto intitolato “Leggere la città” prende il via alla Scuola Manfredi con la lettura del libro “La canzone di Federico e Bianchina” scritto da Bianca Pitzorno.
Il libro racconta la storia vera di due bambini: Bianchina e Federico.
Bianchina era la figlia di Niccolò del Guarco, Doge di Genova dal 1378 al 1383, e di Linò Onza, e viveva con i genitori a Palazzo Ducale.
Federico era il figlio di Brancaleone Doria, possidente e commerciante, e di Eleonora de Serra Bas d’Arborea, e viveva in Sardegna nel Castello di Serravalle.
Nel 1382 Eleonora d’Arborea, che era una donna ricca e potente, sbarcava a Genova con il figlio Federico per stringere un accordo con il Doge di Genova.
L’accordo prevedeva che, quando i loro figli sarebbero cresciuti, si sarebbero sposati. In cambio Eleonora avrebbe versato una grossa somma al Doge.
Intanto i due bambini avrebbero potuto conoscersi, giocare e crescere insieme, imparando a volersi bene, oppure… a litigare.
Nel 1383 Federico dovette tornare con la madre in Sardegna perché era morto lo zio Ugone d’Arborea e Federico era il suo erede. Dopo tre anni però Federico morirà, probabilmente per una broncopolmonite e i due bambini non si sposeranno mai.
Classe IV Scuola Primaria L.Manfredi
La canzone di Federico e Bianchina
E Genova cantava
al soffio del maestrale.
Stretta fra gli alti muri
vibrava come un organo ogni strada
al respiro del mare.
Gonfi di vento gli abiti e i capelli
Federico scendeva
correndo per la ripida discesa,
lieve come gli uccelli
che si libran nell’aria
e lieve il cuore,
gonfio di una lietezza straordinaria.
Figlio di marinai,
nella corsa del vento è il suo destino,
nelle vele spiegate alla ventura.
Volar senza paura
nel grande azzurro, non fermarsi mai,
andar fino al Catai
l’unico sogno del suo cuor bambino.
E Genova cantava
al soffio del maestrale.
Nel Palazzo Ducale
la governante chiude le finestre,
chiude fuori la notte
che picchia ai vetri con dita di vento,
con odore di salso e di ginestre.
“Dormi, bambina, è tardi, alta nel cielo
già naviga la luna.”
Obbediente Bianchina
Poggia la testa bruna
sopra il guanciale, e tosto si addormenta.
Sogna tutta contenta
un sogno ingenuo e lieto di bambina.
Sogna l’innamorato
venuto d’oltre mare.
Col vento di ponente ha navigato
per venirla a trovare e le offre in dono
un ramoscello in fiore
“Oggi prendi il mio amore,
domani, o bella, ti offrirò l’anello”.
E nel sogno Bianchina
pianta quel ramo nella terra bruna,
e il ramo cresce, è un albero di melo,
si staglia contro il cielo
rosseggiante di frutti
nell’aria serotina,
nitido contro il disco della luna.
È caduto il maestrale,
Genova finalmente dorme muta
nella profonda quiete.
Ma il Doge veglia con l’ambasciatore,
ardono le candele
e il patto è suggellato
con un cofano pieno di monete.
Vengono d’oltremare,
da un’isola ventosa e mai domata
quelle carte e quei nitidi fiorini.
I grandi hanno deciso:
Federico e Bianchina si dovranno sposare
Appena non saranno più bambini.
Ma i matrimoni sono scritti in cielo
e nel cielo di Genova c’è il vento
che soffia tempestoso
Signora di campagna e di frutteti
Bianchina crescerà, ma Federico
non avrà mai l’età
Per diventare sposo.
Figlio di marinai
con la furia del vento il suo destino
Lo porterà sull’isola selvaggia
persa tra mare e cielo.
In quel regno lontano
una corona cinge il re-bambino.
Ma la tenera mano
stringe un funebre scettro d’asfodelo.
E Genova cantava
al soffio del maestrale.
Stretta fra gli alti muri
vibrava come un organo ogni strada
al respiro del mare.
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