08 Nov Il prodotto dell’odio, del pregiudizio e dell’indifferenza: l’incontro con Liliana Segre
Liliana Segre, l’anno scorso, era salita di diritto sull’albero dei Giusti della III B e della II E e II D della Durazzo.
Quest’anno Liliana parla e fa parlar ancora di sé (per fortuna!) su Miniscoop, grazie ad alcune ragazze che hanno partecipato con la scuola all’incontro che la Senatrice ha tenuto a Genova in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali in Italia. Nell’articolo di seguito la cronaca della giornata e il messaggio che le ragazze hanno colto.
Il giorno 9 ottobre le classi terze della succursale si sono recate a Palazzo Ducale per assistere all’incontro con la Senatrice a vita Liliana Segre, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali in Italia.
L’incontro si è svolto in due luoghi differenti: al Teatro C. Felice, dove ha raccontato la sua storia dal vivo ai ragazzi delle superiori, e a Palazzo Ducale dove le medie hanno assistito alla diretta.
L’evento si è aperto con i ringraziamenti da parte di Giacomo Ronzitti (presidente dell’ ILSREC che ha organizzato l’incontro), Giovanni Toti (Presidente della Regione Liguria) e un Consigliere (in sostituzione del Sindaco).
“È stato l’amore di mio padre a salvarmi da Auschwitz”. Con questa frase Liliana Segre inizia il racconto della sua terribile esperienza.
Liliana, nata il 10 settembre 1930, abitava a Milano in corso Magenta 55, con suo padre e i suoi nonni paterni. Aveva un meraviglioso rapporto con il padre, anche perché la madre era morta a soli 25 anni, due anni dopo il matrimonio.
Liliana avrebbe dovuto iniziare la terza elementare quando una sera qualsiasi, a tavola, il papà e i nonni le dissero che lei, come tutti i bambini ebrei, era stata espulsa dalla scuola. Dovette cambiare scuola iniziando la frequenza di un istituto privato. Le sue amichette delle elementari ogni volta che la vedevano passare davanti alla scuola la indicavano, ridevano e la prendevano in giro; però, grazie al suo bel carattere, lei non abbassava mai la testa perché non aveva niente di cui vergognarsi.
Nell’ottobre del 1942 cominciarono i bombardamenti su Milano. Per lei la seconda media finì molto presto perché suo padre decise di andare via dalla città e di trasferirsi in campagna, dove si sentì ancora più isolata perché, ovviamente, non poteva frequentare la scuola pubblica e trascorse molto tempo con suo nonno malato.
Visto che la situazione stava peggiorando per tutti gli ebrei, suo padre decise di scappare in Svizzera: sistemati i nonni, presero più cose possibili e partirono all’alba dell’otto dicembre 1943 con documenti falsi.
Arrivati al confine, deboli e infreddoliti, la sorte si rivolse contro di loro: incontrarono un ufficiale svizzero con tendenze naziste che senza esitazione li rispedì in Italia dove vennero arrestati e portati al carcere di Varese.
Dopo essere stati anche nel carcere di Como, arrivarono al carcere San Vittore di Milano dove rimasero circa quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 le guardie misero in fila più di 600 persone tra cui Liliana e suo padre, che uscirono dal carcere accompagnati dalle urla di conforto dei detenuti comuni. Arrivati al binario 21, nel sotterraneo della Stazione Centrale, furono caricati su un treno merci, in ogni vagone c’erano 50 persone, con destinazione ignota.
Il viaggio per Auschwitz fu terribile. Arrivati al campo, li divisero in due file, maschi da una parte e femmine dall’altra: quella fu l’ultima volta che vide il padre.
Ci fu un ulteriore selezione: da un lato chi poteva lavorare e dall’altro chi era destinato all’eliminazione. Fortunatamente Liliana era una ragazza in salute e fu scelta per il lavoro in fabbrica nella città situata nelle vicinanze del campo.
Uno dei più grandi rimorsi di Liliana durante la deportazione fu quando una ragazza francese con cui lavorava, Janine, a causa di un infortunio fu mandata direttamente nelle camere a gas; ma in quel momento Liliana, presa dall’entusiasmo di aver passato la selezione, non ebbe neanche il coraggio di dirle addio.
Nel gennaio del 1945, i nazisti, nell’intento di nascondere all’avanzata dell’armata russa l’orrore dello sterminio messo in atto, fecero saltare in aria i lager. Quel momento fu l’inizio della “marcia della morte”, chiamata cosi perché in molti non riuscirono ad arrivare nel nord della Germania.
Liliana racconta che poco prima della liberazione, che avvenne il primo maggio 1945, vedendo uno dei suoi carnefici levarsi la divisa, far scappare i cani e buttare la pistola ai suoi piedi ebbe per un attimo l’istinto di raccogliere l’arma per ammazzarlo come vendetta, ma in un istante capì che non sarebbe mai diventata come loro.
Stremata dopo un lungo viaggio, tornò a Milano e scoprì che molti dei suoi cari erano morti. Venne infine adottata dai suoi zii, per poi andare a vivere con i nonni materni.
Ricominciare a vivere fu difficilissimo, ma grazie all’incontro con il suo futuro marito ci riuscì. Dopo 45 lunghi anni di silenzio fu la nascita del suo primo nipote a darle la forza di raccontare la sua terribile esperienza per tener viva la memoria di quanto accaduto.
Il messaggio che la senatrice vuole trasmettere a tutti noi è di non rimanere mai indifferenti davanti alle ingiustizie.
Ci riteniamo molto orgogliosi e fortunati di aver potuto assistere a una delle ultime testimonianze riguardanti l’Olocausto.
Roberta Allemani
Posted at 14:54h, 08 NovembreGrazie per il resoconto puntuale e intenso
Avete giustamente detto che é stato un privilegio assistere a una delle ultime testimonianze dell’Olocausto .
A voi l’onere e la responsabilità di non dimenticare e divuldare ciò che avete ascoltato